Mi trovo in una situazione difficile. Sono in una spirale di avvenimenti, di pensieri che conducono tutti a uno stesso punto focale: ho fallito una delle mie più grandi scommesse.
Ho sempre diviso il mio tempo in due categorie: quello che faccio, ovvero quelle cose che puntano alla mia realizzazione professionale/vocazionale, e quello che provo, che mi arricchisce emozionalmente e che mi plasma più nel profondo. Mi sono dato uno schema delle cose che dovevano rientrare in queste categorie, forse per rendere la mia vita più facile da accettare e controllare. Questo schema di divisione era molto correlato a quello che pensavo di me: due parti in un eterno e irrimediabile conflitto. Credevo che razionalità ed emotività fossero due realtà antagoniste e che in certe situazioni dovevo eclissare totalmente una per dare spazio all’altra. Eccomi, quindi, a dire che mi sbagliavo di grosso.
Come si è potuto intuire, il controllo è una cosa che mi contraddistringue. Ne cerco sempre di più in tutta la mia vita e se qualcosa non è sotto la mia supervisione entro nel panico, inizio a non capire. Spesso mi incapunisco sul perchè non comprendo le cose che non dipendono da me. E poi… Ecco, da qui una grande confusione di pensieri che invadono la mia testa. Direi che sono sintomi di una forte dipendenza da questo aspetto, frutto di una mente che ha prediletto per tutta la vita la folle razionalità.
Gli ultimi due anni sono stati tra quelli che più mi hanno cambiato. Ho vissuto molte delusioni, perdite e cambi di programma inaspettati. C’è stata una lunga crisi in cui ho interrogato me stesso alla ricerca di alcune risposte. Questo momento molto lungo, di cui mi porto gli strascichi ancora oggi, ha demolito quasi tutti i punti saldi su cui avevo iniziato a costruirmi. Quello che è venuto dopo mi ha dato il materiale per provare a costruire qualcosa di diverso.
Alcune esperienze più recenti mi hanno messo davanti una realtà che è molto diversa da quella che mi stavo ostinando a vedere. Una realtà che mi sta insegnando quanto sia insignificante la mia opera e di quanto ciò sia una cosa bellissima a cui auspicare. Non parlo solo del classico discorso del filo d’erba in mezzo al prato che segue la direzione del vento, ma proprio della nostra natura di esseri umani. Mi sono scoperto umano. E ammiro in questa definizione una immensa grandezza. In particolare perchè al suo interno sono racchiusi un’infinità di altri aspetti: umano vuol dire amabile, violabile, fallibile, limitato, complesso, bello. Non è incredibile? Scoprire e vivere la mia piccolezza mi ha reso di più di quello che ero quando mi pensavo grande.
Essendo la vita fatta di scelte, a questo cambio di visione ho dovuto anche apportare delle virate a molti percorsi. E le decisioni che sto affrontando in questo periodo stanno portando a un nuovo me, con dei lati in pieno mutamento. Sono arrivato al fulcro di tutto questo discorso. Molte di queste scelte riguardano chiudere dei percorsi, e giusto qualcuna ne aprirà di nuovi. Sto facendo selezione. Mi sto facendo domande come: “Cos’è davvero importante?”, “Qual è la battaglia che posso portare avanti solo io? Quella che chiama me e solo me?”. Rispondendomi ho capito che non stavo andando nella direzione giusta.
Ho scommesso sulla mia città, sulle persone che la abitato e ho continuato a dargli tutto quello che avevo, mosso dal pensiero di poter cambiare quello che non funzionava. Mi sto rendendo conto che questo cambiamento non posso farlo io, che quello che pensavo di poter cambiare con delle semplici azioni è in realtà una lotta contro qualcosa di più grande di me. Ho capito che non posso migliorare la vita delle persone con la stessa facilità con cui parlo con loro, diffondo le mie conoscenze o immagino nuove idee. Ho capito che non posso tutto e che ci sono cose che, appunto, non dipendono da me, buone o brutte che siano. Ma cosa ancora più importante, devo accettare che questa condizione non è trattabile o modificabile.
Me ne sono reso conto impattando contro il peso delle mie azioni, quando le cose non funzionavano da un po’: organizzavo le mie giornate in modo da riuscire a fare tutto un impegno dopo l’altro, senza sosta. Ogni volta che stavo facendo qualcosa, non avevo il tempo di godermi il risultato o, peggio ancora, di portarla a termine che dovevo già pensare a quella successiva. Il tutto è collassato quando alcuni di essi, incastrati in un equilibrio precario, hanno iniziato ad andare male, facendo implodere tutto quello che stavo costruendo. Dopo aver raccolto i cocci di ciò che rimaneva, sono arrivato alle mie conclusioni: non posso andare avanti dicendo sempre “Sì”, provando a realizzare ogni singola idea che mi passa per la testa e facendo promesse che vanno oltre le mia capacità con la scusa che possano diventare una sifda. In particolare se questo si traduce nell’impossibilità di vivere le esperienze e i sogni di un normale ragazzo di vent’anni (perchè in fondo sono anche questo).
Quindi, cosa sta succedendo? Di quello che mi sento di dire, sto per cambiare città. Questa cosa porta con sè anche una serie di conseguenze su alcuni progetti, come la mia associazione, che mi ha portato ad aprire un FabLab nella mia città natale ormai due anni fa. Nel momento in cui scrivo io sono il presidente e sono sempre stato al centro dell’operato di tutta l’associazione non solo a livello organizzativo ma anche pratico, partecipando in prima persona agli eventi come formatore/relatore. C’è stato anche un lungo periodo di one man army in cui davvero tutto dipendeva da me, ed ancora adesso ci sono molte cose che non possono reggersi in mia assenza.
Il motivo del mio spostamento è lo studio, che è il secondo fallimento oggetto di questa lettera. Quando decisi di iniziare il mio percorso universitario nella mia città natale, sapevo di star scommettendo su un territorio che non mi dava le migliori opportunità, ma che poteva andare meglio se iniziavo a lavorarci su sin da subito. Inoltre, non avendo ancora chiaro in che settore muovermi per una futura carriera lavorativa, ho preferito un percorso di studi in informatica più generico ed essenziale. Quello che sento ora, però, è totalmente diverso: ho scoperto la mia vera vocazione, l’hacking, e piano piano mi sto rendendo conto di come i progetti che avevo in mente per questo territorio sono troppo complessi e non realizzabili con le risorse a disposizone.
Questi assunti mi stanno devastando e ho necessità di soffermarmi su me stesso per una buona volta. Amo le persone più di ogni altro momento della mia vita e voglio che chi fa esperienza di me possa capire che amo anche me stesso. Inoltre non posso essere pronto all’Amore per gli altri se non riesco a viverlo prima in me stesso, nel modo più autentico possibile. Ciò significa ascoltarsi e prendersi il rischio di cambiare quello ciò che non sta andando per il verso giusto, con tutte le conseguenze che comporta.
Di tutto questo sono felice e, anzi, non è neanche questa la parte più complicata. Quella l’ho già vissuta, quando cercavo queste soluzioni e quando rimanevo nel silenzio piuttosto che scriverle e condividerle. Quello che mi auguro è che non sia l’unico a poter dire ciò, che sempre più persone possano riconoscersi e cambiare i propri percorsi.
Due cose possono salvare il mondo: l’Amore e la Cultura. Lasciatevi guidare da loro.
Questo mi sento di dirvi.
Sono fiero di te ❤️
Buon cammino 👣Pasquale, verso nuove direzioni 💫